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giovedì 20 novembre 2014

L'arte "mistica e incantatrice" di Klein




























L'altra sera presso l'Auditorium di Milano Fondazione Cariplo l'Orchestra e il Coro di Milano Giuseppe Verdi hanno dato vita, in occasione della mostra in corso al Museo del Novecento, all'esecuzione della Symphonie Monotone-Silence, concepita da un giovanissimo Yves Klein alla fine degli anni Quaranta e suonata per la prima volta a Parigi nel 1960, unicum in vita per l'enfant terrible dell'arte francese che morì due anni dopo a soli trentaquattro anni, sotto una congiuntura talmente nemica del genio artistico da portar via dopo qualche mese, giovanissimo e nelle stesse modalità, un altro grande di nome Piero Manzoni.

Venti minuti occupati da un reiterato accordo di Do maggiore e soprattutto altri venti di assoluto silenzio ci conducono senza scampo alla celebre 4.33 di John Cage, fatalmente elaborata negli stessi anni sebbene portatrice di una potenzialità del silenzio profondamente diversa da quella sentita da Klein. L'unicità dell'esperienza la rende indiscutibilmente emozionante e ci invita a riflettere sulle nostre sensazioni. Proverò qui a descrivere le mie.

L'attacco è folgorante, alzare di colpo il volume dello stereo produce lo stesso risultato, cioè esclude immediatamente il tradizionale concetto di inizio come progressione dal basso, innescando sin da subito l'idea di una continuità senza durata. La mancanza di progressione sonora e melodica non pregiudica il movimento che invece si avverte sotto forma di dilatazione spaziale ascendente, un viaggio che approfondisce lo spazio, esattamente come il blu immersivo IKB dei monocromi. Banalmente si intravede il celestiale, una nuova dimensionalità è possibile e questa può avere il sentimento del mistico. Queste ultime sensazioni sarebbero senza alcun dubbio rafforzate dall'esecuzione, di grande effetto ma tendenziosa, della sinfonia in sito sacro, magari sotto una gloria barocca.

La promessa della prima parte pare concretizzarsi nella seconda, dove il silenzio non è assenza ma densità immateriale, corpo adimensionale ma percepibile nell'immediato passaggio. Poi contemplazione, intensa, abbaziale, e l'impressione di uno stato di quiete cosmica, sospensione in cui tutto può generarsi o perdersi.
Accarezzo la divinità dell'infinito? raggiungo quell'attimo di felicità descritto da Klein come non misurabile? Non lo so. Non è facile produrre, in questi casi, risposte sostanziose senza recitare un ruolo. Mi limito ultimamente a registrare le sensazioni successive alla rappresentazione: esco dall'auditorium come anestetizzato, dove l'attività mentale, seppur gravida, è ancora torpida e in uno stato di dolce quiescenza, frutto deciso di un immersione contemplativa che non può lasciare indifferenti.

A questo punto una riflessione mi porta a considerare l'accusa che i Situazionisti rivolgevano ad un'arte, come quella di Klein, definita "mistica e incantatoria", rea di indurre lo spettatore a passiva contemplazione, la stessa condizione prodotta da quella società dello spettacolo descritta da Guy Debord nel suo celebre saggio e combattuta dai Situazionisti cercando di riportare l'individuo ad una presenza attiva nella realtà che scaturisce dal suo creare e partecipare a situazioni nuove e imprevedibili.
Contemplativa, come descritto in precedenza, non si può certo dire che la sinfonia di Klein non lo sia, così come tutta la sua arte è pervasa dall'influenza di correnti mistico-spirituali che dall'ordine ermetico cristiano della Rosa-Croce giungono sino al Buddismo Zen, approfondito anche grazie al Judo, nella cui pratica Klein vantava una cintura nera. Da queste sorgenti l'artista francese arrivò all'elaborazione di un'arte liberata prima della forma pittorico-rappresentativa attraverso il monocromo, descritto come "la sola maniera fisica di dipingere che permette di raggiungere l'assoluto spirituale", poi alla radicalizzazione di questa ricerca, dove la stessa matericità dell'opera si disintegra nell'annullamento dell' io corporeo scioltosi nell'io spirituale, grazie al quale le sensazioni abbracciano e comprendono il valore trascendente di dimensioni quali le silence e le vide.

Come sia da intendere, dunque, il valore della sinfonia di Klein? Come arricchimento spirituale o come vano incanto? La contemplazione di quel silenzio è da intendersi più come passività ovvero assuefazione o come attività ovvero meditazione? 
La questione rimane aperta e in divenire. 



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