Museo
Poldi Pezzoli, Milano – Fino al 16 Febbraio 2015. Sbarca in via Manzoni 12 il Rinascimento
fiorentino su invito della padrona di casa, la famosa Dama del Pollaiolo. Un’occasione
unica per vederla riunita alle sue “sorelle” sparse nei musei di mezzo mondo e di
scoprire capolavori provenienti da una delle botteghe più celebrate del quindicesimo
secolo.
*articolo pubblicato su artribune.com il 30/11/2014
Arricchirsi guardando un’opera d’arte non è questione di
uno sguardo e via. L’arte implora lo spettatore a un dialogo lento e fruttuoso
che inevitabilmente si sciupa quando l’ansia di completare tutto il percorso di
una mostra ci assale e siamo costretti a dedicare poco tempo a un’opera che ha
impiegato mesi, forse anni di sforzi e tentativi per essere generata. Alla luce
di ciò, il concetto di grande mostra non può soltanto coincidere con quello di mostra
ricca in numeri, perché quando con poche ma sostanziose opere si costruisce un
percorso e si elabora una tesi ecco che il risultato che emerge è ancora
maggiore, quello di un’esposizione che ha il merito di essere “grande” permettendo
di goderne pienamente. È questo il caso della mostra dedicata ai fratelli
Pollaiolo, Antonio (1441-1498) e Piero (1441/42-1481), a partire dall’icona
stessa del luogo in cui è ospitata, lo splendido ritratto di profilo di dama
del Museo Poldi Pezzoli (1470-72).
La mostra, pur accattivando il grande pubblico con la
presentazione, per la prima volta insieme, delle quattro dame dei Pollaiolo, si
nutre dell’obiettivo di restituire un panorama più limpido sul lavoro dei due
fratelli, fatto, da Vasari in poi, oggetto di falsi miti e attribuzioni
oscillanti. Un respiro più ampio, alimentato da un solido impianto
critico-scientifico, che evita il pericolo di una banalizzazione espositiva
gravitante attorno ai soli ritratti femminili. Quest’ultimi non sono che la
scena preziosa di un percorso semplice quanto pregnante, dove emerge la volontà
dei curatori di sottolineare da un lato la poliedricità e lo straordinario
talento artistico di Antonio e dall’altra il gusto pittorico morbido e mimetico
di Piero. Del primo sono esposti capolavori di oreficeria, quale una grande e
formicolante croce d’argento (realizzata con Betto di Betti, 1457-59), di
scultura, come il drammatico e toccante Crocifisso
di S. Lorenzo (1470-80), e numerosi disegni da cui vien fuori un segno teso
e guizzante, una costante ricerca anatomica e quel sentimento di sforzo
dinamico dei corpi nello spazio che stregò Bernard Berenson, il quale attribuì
proprio ad Antonio del Pollaiolo il primato dell’invenzione del movimento in
pittura, testimoniandolo con lavori quali la celeberrima incisione Battaglia di Nudi (1465 c.) e la
tavoletta degli Uffizi con lo stritolamento di Ercole su Anteo (1475 c.),
entrambe presenti in mostra. Diverso l’atteggiamento di Piero, meno esuberante e
vorace del fratello maggiore, attento a coltivare qualità pittoriche che al
nudo anatomico esplosivo prediligono una maggiore rilassatezza, accompagnata da
una sottile raffinatezza descrittiva. Una pittura oleosa e materica capace di
ricreare la superficie tattile di stoffe e gioielli, come quelli fieramente
indossati dalla nobildonna del Poldi Pezzoli, insieme alle altre tre ricondotte
definitivamente dal curatore Aldo Galli alla mano di Piero, la cui figura viene
decisamente riscattata da una storiografia non proprio benevola.
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